Outlander – Libri e Serie TV a confronto: La morte di Lionel Brown!

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Come la maggior parte dei fan di Outlander sanno (o meglio dovrebbero sapere) la serie televisiva di Outlander ed i suoi libri non sono esattamente la stessa cosa. In questa nuovissima rubrica vi esporremo alcuni elementi di differenza tra il dramma storico-fantastico della STARZ, Outlander, e la saga letteraria di Diana Gabaldon a cui è ispirato: vediamo più da vicino il caso della morte di Lionel Brown!

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La morte di Lionel Brown, uno dei rapitori di Claire

Come molti sapranno, e altrettanti no, le dinamiche circa la morte di Lionel Brown nel finale della quinta stagione sono un elemento di notevole divergenza tra la serie televisiva ed i libri di Outlander.

Infatti, a differenza dei libri di Diana Gabaldon, dove Lionel Brown muore in un modo quasi casuale per mano della domestica di Fraser’s Ridge, Mrs Bug, che lo soffoca con un cuscino per la sua lingua lunga, nella serie TV vediamo Marsali compiere questo gesto in segno di vendetta per ciò che l’uomo aveva fatto a Claire eseguendo un’iniezione mortale endovena a Lionel Brown.

La versione letteraria

Volevo chiedere a Mrs. Bug dello stato di salute di Lionel Brown, ma… forse quella faccenda poteva aspettare. Notai che mi tremavano ancora le mani, e dovetti premerle sul tavolo per un momento per fermarle, prima di sollevare la tazza.

Presi un respiro profondo e un sorso di whisky. Un altro. Sì, adesso andava meglio.

Piccole ondate di panico gratuito tendevano ancora a cogliermi di sorpresa. Quella mattina non mi era ancora successo, e speravo fossero passate. Apparentemente, non del tutto. […]

Tuttavia, mentre uscivamo dalla stanza, sentii uno strano rumore alle nostre spalle. Dei colpi sordi e una specie di trascinamento, come se un grosso animale si muovesse a fatica sulle tavole vuote della veranda anteriore.

«Che cos’è?» chiese Malva, guardando allarmata da sopra la spalla.

Le rispose un forte lamento seguito da un thud!, che scosse la porta come se vi fosse caduto addosso qualcosa.

«Gesù, Giuseppe e Maria!» Mrs. Bug fece capolino dalla cucina, facendosi il segno della croce. «Che cos’è?»

Il mio cuore aveva cominciato a battere all’impazzata, e mi si era seccata la bocca. Qualcosa di grosso e di scuro bloccava la striscia di luce sotto la porta, e si udiva un respiro rantoloso, inframmezzato da lamenti.

«Be’, di qualunque creatura si tratti, è malata o ferita», dissi. «State indietro.» Mi asciugai le mani nel grembiule, deglutii, feci qualche passo avanti e aprii la porta.

Per un attimo non lo riconobbi; non era che un cumulo di carne, capelli arruffati e vestiti in disordine e sporchi di terra. Ma poi fece lo sforzo di sollevarsi su un ginocchio e tirò su la testa, ansimando, e mi mostrò il viso di un pallore mortale, coperto di lividi e madido di sudore.

«Mr. Brown?» chiesi, incredula.

I suoi occhi erano vitrei, non ero nemmeno sicura che mi vedesse. Ma chiaramente riconobbe la mia voce, perché si slanciò in avanti e per poco non mi fece cadere. Indietreggiai rapidamente, ma lui mi afferrò un piede e si tenne stretto, gridando: «Pietà! Mistress, abbiate pietà di me, vi prego!»

«Ma che diamine… Lasciatemi andare. Lasciatemi andare, ho detto!» Scrollai il piede, cercando di fargli mollare la presa, ma lui si aggrappava come una mignatta e continuava a urlare: «Pietà!» con un canto rauco e disperato.

«Oh, state zitto, uomo», disse Mrs. Bug, arrabbiata. Ripresasi dallo choc del suo ingresso, non sembrava

affatto sconvolta dalla sua comparsa, sebbene fosse notevolmente seccata.

Lionel Brown non tacque e continuò a implorarmi di avere pietà, nonostante i miei tentativi di calmarlo. Tentativi interrotti da Mrs. Bug, che si chinò oltre la sottoscritta e, armata di martello per battere la carne, cominciò a picchiettarlo con forza sulla testa. Lui rovesciò gli occhi e cadde di faccia sul pavimento, senza dire un’altra parola.

«Vi chiedo scusa, Mrs. Fraser!» disse, in tono apologetico. «Non so proprio come sia uscito, e certo non capisco come abbia fatto ad arrivare sin qui!»

Nemmeno io sapevo come fosse uscito, ma il resto mi era piuttosto chiaro: aveva strisciato, trascinando la gamba rotta. Mani e gambe erano graffiate e insanguinate, i calzoni ridotti a brandelli, e tutto il suo corpo era coperto di fango, erba e foglie.

Mi abbassai e gli tolsi una foglia di olmo dai capelli, cercando di decidere che cosa fare con lui. La cosa più ovvia, immaginai.

«Aiutatemi a portarlo in ambulatorio», dissi con un sospiro, mentre mi chinavo per afferrarlo sotto le ascelle.

«Non potete, Mrs. Fraser!» Mrs. Bug era scandalizzata. «Vostro marito si è molto accanito su questo punto: non dovete essere importunata da questa canaglia, e non dovete neppure vederla!»

«Be’, temo sia un po’ tardi per non vederla», dissi, dando uno strattone a quel corpo inerte. «Non possiamo lasciarlo qui sulla veranda, no? Datemi una mano!»

Apparentemente, Mrs. Bug non vedeva alcun motivo per cui Mr. Brown non dovesse rimanere lì disteso; ma quando Malva – che, durante il trambusto, si era appiattita contro il muro con gli occhi sgranati – venne in mio aiuto cedette anche lei con un sospiro, posò l’arma e si unì a noi.

Quando riuscimmo a metterlo sul tavolo dell’ambulatorio, aveva ripreso conoscenza e mormorava: «Non lasciate che mi uccida… vi prego, non permetteteglielo!»

«Volete stare zitto?» dissi, alquanto irritata. «Fatemi dare un’occhiata alla gamba.»

Nessuno aveva apportato qualche miglioria alla mia stecca rudimentale, e il tragitto dalla capanna dei Bug non gli aveva certo fatto bene; il sangue filtrava tra le fasciature. Francamente, ero stupita che ce l’avesse fatta, considerando le ferite. La carne era umidiccia e il respiro superficiale, ma non aveva la febbre alta.

«Vorreste portarmi dell’acqua calda, Mrs. Bug?» chiesi, mentre pungolavo con cautela l’arto fratturato. «E magari un po’ di whisky? Avrà bisogno di qualcosa di forte per lo choc.»

«No», rispose lei, guardando il mio paziente con ripugnanza. «Dovremmo semplicemente lasciare che sia Mr. Fraser a occuparsi di questo essere spregevole, se non vuole farci la cortesia di morire da solo.» Stava ancora brandendo il martello, che sollevò con gesto minaccioso: Mr. Brown si acquattò e si mise a urlare, poiché il movimento gli aveva provocato dolore al polso fratturato.

«Vado a prendere l’acqua», disse Malva, e sparì.

Ignorando i miei tentativi di occuparmi delle sue ferite, Mr. Brown mi afferrò un polso con la mano buona, la stretta sorprendentemente forte.

«Non lasciate che mi uccida», disse rauco, fissandomi con gli occhi iniettati di sangue. «Ve ne prego!»

Esitai. Non mi ero esattamente dimenticata della sua esistenza, ma negli ultimi due giorni l’avevo più o meno rimossa. Ed ero stata felicissima di non pensare a lui.

Notò la mia esitazione e si passò la lingua sulle labbra, riprovando.

«Salvatemi, Mrs. Fraser. Vi imploro! Siete l’unica che lui ascolti!»

Con qualche difficoltà, liberai il mio polso.

«E perché, esattamente, pensate che qualcuno voglia uccidervi?» chiesi, cauta.

Brown non rise, ma la sua bocca si contrasse in una smorfia amara.

«L’ha detto lui. E non dubito che lo farà.» Sembrava un po’ più calmo, adesso, e prese un respiro profondo e tremante. «Vi prego, Mrs. Fraser», disse con voce più sommessa. «Vi supplico… salvatemi la vita!»

Lanciai un’occhiata a Mrs. Bug e lessi la verità nelle sue braccia conserte, e nelle labbra serrate. Lei sapeva.

In quel momento entrò Malva, con il bricco d’acqua calda in una mano e la caraffa di whisky nell’altra.

«Che cosa devo fare?» chiese senza fiato.

«Em… nell’armadio», dissi, cercando di concentrarmi. «Sai riconoscere la consolida maggiore? O l’erba della febbre?» Avevo afferrato il polso di Brown, e automaticamente gli stavo prendendo le pulsazioni. Il cuore gli batteva all’impazzata.

«Aye, madam. Devo metterne un po’ in infusione?» Aveva posato il bricco e la caraffa, e stava già cercando nell’armadio.

Incrociai gli occhi di Brown, e mi sforzai di mantenere la calma.

«Voi mi avreste uccisa, se aveste potuto», dissi in tono molto sommesso. I miei battiti erano veloci quasi quanto i suoi.

«No», disse, ma distolse lo sguardo. Fu solo per una frazione di secondo, ma lo fece. «No, non l’avrei mai fatto!»

«Avete detto a H-Hodgepile di uccidermi.» Mi tremò la voce quando pronunciai quel nome, e avvertii un’improvvisa vampata di rabbia. «Sapete che ho ragione!»

Il suo polso sinistro probabilmente era rotto, e nessuno gliel’aveva sistemato; la carne era gonfia, scura per i lividi. Pure, premette la mano libera sulla mia, in preda al bisogno di convincermi. Aveva un odore rancido, caldo e ferale, come…

Tolsi la mano, mentre il senso di repulsione strisciava sulla mia pelle come uno sciame di centopiedi. Strofinai violentemente il palmo sul grembiule, sforzandomi di non vomitare.

Non era stato lui. Almeno questo lo sapevo. Si era fratturato la gamba nel pomeriggio. Non poteva assolutamente essere lui quella presenza pesante e inesorabile nella notte, quell’uomo fetente che spingeva… Eppure la sensazione era quella. Mandai giù la bile, la testa improvvisamente leggera.

«Mrs. Fraser? Mrs. Fraser?» chiamarono insieme Malva e Mrs. Bug e, prima che mi rendessi conto di quello che stava succedendo, quest’ultima mi aveva fatto sedere su uno sgabello e mi stava tenendo dritta, mentre Malva mi premeva insistentemente un bicchiere di whisky contro le labbra.

Lo bevvi con gli occhi chiusi, cercando di perdermi momentaneamente nel suo profumo pulito e pungente, e nel suo gusto bruciante. […]

Ricordai la furia di Jamie, la notte che mi aveva portata a casa. Se Brown fosse stato nella stanza con noi, senza dubbio l’avrebbe ucciso. Lo avrebbe fatto anche adesso, a sangue freddo? Non lo sapevo. Evidentemente, Brown pensava di sì.

Lo sentivo piangere, un suono basso e disperato. Mandai giù l’ultimo sorso di whisky, spinsi via il bicchiere e mi tirai su a sedere, aprendo gli occhi. Rimasi vagamente sorpresa, quando scoprii che stavo piangendo anch’io.

Mi alzai e mi asciugai il viso nel grembiule. Aveva un profumo confortante di burro, cannella e salsa di mele fresca, che calmò il mio senso di nausea.

«L’infuso è pronto, Mrs. Fraser», sussurrò Malva, toccandomi una manica. Aveva gli occhi fissi su Brown, miseramente rannicchiato sul tavolo. «Volete berne un po’?»

«No», dissi. «Dallo a lui. Poi portami delle bende… e vai a casa.»

Non avevo idea di che cosa intendesse fare Jamie; e non avevo idea di quello che avrei potuto fare io, una volta scoperte le sue intenzioni. Non sapevo che cosa pensare, che cosa sentire. L’unica cosa certa era che davanti a me c’era un uomo ferito. E per il momento era abbastanza.

Per un po’, riuscii a dimenticarmi chi fosse. Proibendogli di parlare, strinsi i denti e mi feci assorbire dal lavoro che avevo davanti. Lui piagnucolò, ma rimase fermo. Lo pulii, lo fasciai, gli diedi un po’ di conforto impersonale. Quando ebbi terminato, però, mi ritrovai lì con lui e mi resi conto del crescente disgusto che provavo nei suoi confronti, ogni volta che lo toccavo.

Alla fine andai a lavarmi, strofinandomi meticolosamente le mani con un panno inzuppato di alcol e trementina, e passandolo sotto tutte le unghie nonostante il dolore. Mi resi conto che mi stavo comportando come se avesse un’orribile malattia contagiosa. Ma non riuscivo a fermarmi.

Lionel Brown mi osservava con apprensione.

«Che cosa intendete fare?»

«Non ho ancora deciso.» Il che era più o meno vero. Non avevo preso una decisione consapevole, anche se le mie azioni – o non azioni – erano già determinate. Jamie, che fosse maledetto, aveva ragione. Ma non vidi il motivo per dirlo a Brown. Non ancora.

Stava aprendo la bocca, senza dubbio per supplicarmi ancora, ma lo fermai con un gesto brusco.

«Con voi c’era un uomo di nome Donner. Che cosa sapete, di lui?»

Qualunque cosa si fosse aspettato, non era certo questo. Per un attimo rimase a bocca aperta.

«Donner?» ripeté, incerto.

«Non osate dirmi che non vi ricordate di lui», dissi. L’agitazione mi fece assumere un tono accanito.

«Oh, no, madam», mi assicurò frettolosamente. «Lo ricordo bene. Benissimo! Cosa…» si toccò l’angolo infiammato della bocca con la lingua «cosa volete sapere?»

La prima cosa era se fosse morto o no, ma di certo Brown non lo sapeva.

«Cominciamo dal suo nome completo», proposi, sedendomi cautamente accanto a lui, «e andiamo avanti.»

Brown conosceva poche cose certe riguardo a quell’uomo, al di là del suo nome: Wendigo.

«Che cosa?» chiesi incredula, ma lui non sembrava trovarci nulla di strano.

«Così ha detto», rispose, apparentemente offeso all’idea che potessi dubitare di lui. «È indiano, no?»

Sì, lo era. E, per la precisione, era il nome di un mostro mitologico di qualche tribù del Nord, anche se non ricordavo quale. Una volta, alle superiori, Brianna aveva studiato un capitolo dedicato ai miti dei nativi americani, e ogni alunno aveva avuto il compito di spiegare e illustrare una storia in particolare. Bree si era occupata di Wendigo.

Lo ricordavo solo per il suo disegno, che mi era rimasto impresso per un certo periodo di tempo. Aveva usato una tecnica inversa: il disegno era stato realizzato con un pastello bianco, su uno strato di carboncino nero. Gli alberi sferzanti si muovevano avanti e indietro, in un turbine di vento e neve, di foglie strappate e aghi volanti. Comunicava un senso di urgenza; nel movimento c’era qualcosa di selvaggio. Dovetti guardarlo per alcuni istanti, prima di scorgere il viso tra i rami. Mi ero messa a urlare e avevo lasciato cadere il foglio, per la gratificazione di Bree.

«Oserei dire di sì», dissi, reprimendo fortemente il ricordo del viso di Wendigo. «Da dove veniva? Viveva a Brownsville?»

C’era stato, ma solo per qualche settimana. Hodgepile l’aveva raccattato da qualche parte, insieme ad altri uomini. Brown non vi aveva nemmeno badato; non aveva dato problemi.

«Stava dalla vedova Baudry», disse, d’un tratto speranzoso. «Magari le ha raccontato qualcosa di sé. Potrei scoprirlo per voi. Una volta a casa.» Mi lanciò un’occhiata da cane fedele, che però mi ricordò l’espressione di un tritone in fin di vita.

«Hmm», feci, guardandolo con estremo scetticismo. «Vedremo.»

Si leccò le labbra, cercando di impietosirmi.

«Magari potrei avere dell’acqua, ma’am?»

Non pensavo di poterlo far morire di sete, ma ero stufa di curarlo personalmente. Lo volevo fuori dal mio ambulatorio e dalla mia vista il prima possibile. Annuii bruscamente e uscii in corridoio chiedendo a Mrs. Bug di portare dell’acqua. […]

Ero impresentabile, ma a Mrs. Bug non sarebbe importato, e al diavolo l’opinione di Lionel Brown. Mi tamponai le tempie con un lembo del grembiule, e mi diressi verso casa.

La porta era socchiusa, come l’avevo lasciata. La aprii con una spinta, e la luce forte e chiara del pomeriggio mi superò e illuminò Mrs. Bug, nell’atto di premere un cuscino con tutta la sua forza sul viso di Lionel Brown.

Rimasi lì un momento, ammiccando: ero così sorpresa che non riuscii a tradurre quell’immagine in comprensione. Poi mi slanciai in avanti con un urlo sconnesso e le afferrai il braccio.

Aveva una forza tremenda, ed era così concentrata su quello che stava facendo che non si mosse; le vene gonfie che le solcavano la fronte e il viso erano quasi viola per lo sforzo. La strattonai per un braccio, senza risultato. Poi, in preda alla disperazione, la spinsi più forte che potei.

Barcollò, perdendo l’equilibrio, e riuscii a rubarle il cuscino e a gettarlo da un lato, lontano dal viso di Brown. Con uno slancio tornò nella sua posizione, intenta a finire il suo lavoro, le mani tozze che affondavano nel cuscino fino al polso.

Feci un passo indietro e mi gettai su di lei con tutto il mio peso. Cademmo con uno schianto, rovesciammo la panca e finimmo a terra in un groviglio di braccia e gambe, in mezzo a frammenti di terracotta, al profumo di menta e ai contenuti del vaso da notte rovesciato.

Mi rotolai e annaspai per prendere fiato; il dolore alle costole mi paralizzò per un momento. Poi digrignai i denti, la spinsi via e cercai di liberarmi da quel groviglio di gonne, rimettendomi in piedi a fatica.

La mano di lui penzolava dal tavolo, molle. Gli afferrai la mascella, gli tirai indietro la testa e premetti la bocca sulla sua, fervente. Soffiai il poco fiato che avevo, annaspai e soffiai di nuovo, mentre cercavo freneticamente di sentirgli le pulsazioni nel collo.

Era caldo, le ossa della mascella e le spalle sembravano normali, ma la carne aveva una rilassatezza inquietante, e la sua bocca sotto la mia – che schizzava sangue ovunque a causa del labbro spaccato – si appiattiva in modo osceno ogni volta che premevo e soffiavo, al punto che ero costretta a succhiare freneticamente per tenerla sigillata, e a soffiare forte dagli angoli della bocca, mentre dovevo combattere il dolore alle costole per riuscire a immagazzinare abbastanza aria e soffiare di nuovo.

Sentii una presenza alle mie spalle, Mrs. Bug, e le sferrai un calcio. Si sforzò di afferrarmi una spalla, ma mi allontanai e le sue dita scivolarono via. Mi girai velocemente e la colpii allo stomaco con tutta la forza che avevo, lei cadde sul pavimento con un sonoro whoof! Non avevo tempo per lei; mi voltai immediatamente e mi gettai ancora una volta su Brown.

Il petto sotto la mia mano si sollevava in modo rassicurante, quando soffiavo; ma crollava bruscamente quando mi fermavo. Mi tirai indietro e, con entrambi i pugni, battei sullo sterno elastico con tanta forza da provocarmi altri lividi alle mani – e da provocarne altri alla carne di Brown, ammesso che ciò fosse ancora possibile.

Ma non era così. Soffiai, battei e soffiai ancora, finché il sudore misto a sangue non mi colava in rivoli lungo il corpo, rendendomi viscide le cosce; mi ronzavano le orecchie e vedevo ondeggiare delle macchioline nere davanti agli occhi, a causa dell’iperventilazione. Alla fine, mi fermai. Ero lì in piedi, e prendevo dei respiri profondi e affannosi, i capelli bagnati che mi cadevano sul viso, le mani che pulsavano al ritmo martellante del cuore.

Quel maledetto era morto.

Strofinai le mani sul grembiule, che poi usai per asciugarmi il viso. La mia bocca era gonfia e sapeva di sangue; sputai sul pavimento. Ero calma; l’aria aveva quella peculiare immobilità che spesso si accompagna a una morte silenziosa. Uno scricciolo della Carolina gridava dal bosco vicino Teakettle, Teakettle, Teakettle!

Sentii un piccolo fruscio e mi voltai: Mrs. Bug aveva raddrizzato la panca e ci si era seduta sopra. Era incurvata in avanti, le mani giunte in grembo, un lieve cipiglio sul viso tondo e rugoso, mentre fissava intensamente il corpo sul tavolo. La mano di Brown penzolava molle, le dita lievemente incurvate a coppa, quasi a stringere delle ombre.

Il lenzuolo che lo copriva era macchiato; di qui l’odore da vaso da notte. Quindi, era già morto prima che dessi inizio ai miei sforzi per resuscitarlo.

Un’altra ondata di calore salì verso l’alto, avvolgendomi la pelle come cera calda. Sentivo l’odore del mio sudore. Chiusi gli occhi per un attimo e poi li riaprii, e tornai a guardare Mrs. Bug.

«Perché diamine l’avete fatto?» le chiesi, in tono colloquiale.

«Lei ha fatto cosa?» Jamie mi fissò senza capire, poi guardò Mrs. Bug, seduta al tavolo della cucina, il capo chino, le mani giunte davanti a sé.

Senza aspettare che ripetessi quello che gli avevo detto, percorse il corridoio a grandi passi fino all’ambulatorio. Si fermò bruscamente. Ci fu un istante di silenzio, a cui seguì un’imprecazione in gaelico che gli veniva dal cuore. Le spalle grassocce di Mrs. Bug si sollevarono fino a coprirle le orecchie.

I passi tornarono indietro, ora più lentamente. Entrò e andò al tavolo dove lei sedeva.

«Oh, donna, come avete osato mettere le mani su un uomo che era mio?» chiese in tono molto sommesso, in gaelico.

«Oh, signore», sussurrò. Aveva paura di sollevare lo sguardo; si acquattò sotto la cuffia, il viso quasi invisibile. «Io… io non volevo. Davvero, signore!»

Jamie mi lanciò un’occhiata.

«L’ha soffocato», ripetei. «Con un cuscino.»

«Non credo che si possa fare una cosa simile senza volerlo», disse. La sua voce era così tagliente che avrebbe potuto affilare un pugnale. «Che intenzioni avevate, a boireannach?»

Le spalle tonde di lei cominciarono a tremare per la paura.

«Oh, sir! Oh, sir! So che non avrei dovuto farlo… solo che… è stata quella sua linguaccia malvagia. Per tutto il tempo in cui mi sono presa cura di lui, ha continuato a farsi piccino e a tremare, aye, quando venivate a parlargli voi, o il giovane Ian, o Arch… Con me, però…» Deglutì; improvvisamente, la carne del suo viso sembrava molle. «Io sono solo una donna, e con me poteva dire quello che pensava. E l’ha fatto. Ha lanciato minacce, sir, e imprecazioni tremende. Diceva che suo fratello sarebbe venuto a liberarlo con i suoi uomini, e ci avrebbe massacrato, per poi dar fuoco alle nostre case con noi dentro.» Mentre parlava le tremavano le mascelle, ma trovò il coraggio di dire tutto reggendo lo sguardo di Jamie.

«So che non avrei dovuto permettere che accadesse, signore, e ho fatto del mio meglio per non prestargli attenzione. E, quando è riuscito a farmi irritare, gli ho detto che sarebbe morto molto prima che suo fratello avesse scoperto dove si trovava. Ma poi quel cagnaccio malvagio è scappato… e non so nemmeno come abbia fatto, perché avrei giurato che non era nemmeno in grado di alzarsi dal letto, figurarsi se era in condizioni di arrivare sin qui. Ma l’ha fatto, e si è gettato ai piedi di vostra moglie per implorare pietà. E lei l’ha preso su… Io avrei trascinato via quella carcassa malvagia con le mie mani, ma lei non me l’ha permesso…» A questo punto, mi lanciò una breve occhiata piena di risentimento, ma subito dopo tornò a guardare Jamie con occhi imploranti.

«E lei l’ha accolto per curarlo, da signora gentile e clemente quale è… Avendolo accudito in quel modo, ho capito guardando il suo viso che non avrebbe sopportato l’idea di vederlo uccidere. E l’ha capito anche quell’essere spregevole. Quando lei è uscita mi ha guardato con aria beffarda: sapeva di essere al sicuro, perché l’aveva ingannata convincendola a prendersi cura di lui. E adesso lei non avrebbe più permesso che venisse ucciso. Non appena fosse riuscito ad andarsene, avrebbe mandato qui una banda di uomini a vendicarsi e…» Chiuse gli occhi, oscillando un momento, e si premette una mano sul petto.

«Non ho potuto evitarlo, signore», disse molto semplicemente. «Proprio non ho potuto.»

La versione televisiva

Come anticipato prima, nella serie TV la morte di Lionel Brown porta con sé un sottotesto di vendetta e giustizia dopo tutto ciò che l’uomo ha fatto passare a Claire, tra violenza fisica e verbale e stupri.

Gravemente ferito dagli uomini del Ridge nel tentativo di portare in salvo Claire in seguito al suo rapimento e violenze, Lionel Brown viene portato nell’ambulatorio della donna a Fraser’s Ridge. Claire stessa ci tiene a rispettare il suo giuramento di medico e non ucciderlo, seppur con fatica, ma non si può dire la stessa cosa della sua assistente e figlia acquisita Marsali. Quest’ultima, in un gesto di estrema rabbia ed esasperazione a seguito dei numerosi insulti che l’uomo continuava ad infliggere a Claire, decide di eseguire su di lui un’iniezione mortale che lo spegnerà definitivamente. Un gesto di grande forza che la giovane compie in segno di vendetta in nome della donna che l’ha aiutata, formata e cresciuta negli ultimi anni.

Che ne pensate di questa differenza piccola ma importante tra la serie e i libri di Outlander? Fateci sapere la vostra opinione nei commenti!

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Chiara

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